Assisi Global Day: Una musica per l’anima di Paolo Vittozzi
Assisi 24 ottobre 2011
UNA MUSICA PER L’ANIMA
Assisi, ancora Assisi, stavolta un convegno.
Gabriella deve esser particolarmente affezionata ad Assisi, questo incontro è propositivo: una tavola rotonda con principale protagonista l’Osservanza dei Diritti Umani.
Sono stato invitato come Direttore Esecutivo del Club di Budapest.
L’atmosfera è informale, devo fare un piccolo intervento.
C’è una scaletta da rispettare, mi sembra intelligente e doveroso.
Mi siedo al solito avanti a destra e quasi subito Gabriella mi chiede di proiettare, in attesa che arrivino tutti, per riempire il silenzio iniziale, il film Olos, l’anima della Terra. Il film rappresenta il paradigma olistico con il quale il Club di Budapest propone di modificare la visione scientifica attuale.
Lo faccio volentieri; vediamo i primi tre capitoli.
Poi si inizia, le persone si avvicendano, interventi interessanti, motivati, particolari.
Io ascolto, mi lascio andare, ascolto con il cervello emotivo, confronto, mi pongo delle domande, ad esempio in merito alla religione, mi chiedo se in Siria o in Arabia sarebbero altrettanto aperti, ma non è importante, facciamo come dice Jodorowsky: arricchiamo il mondo, intanto lo facciamo noi …
L’incontro va avanti, le parole, i frammenti, i collegamenti.
Spiritualità, religione, anima, coscienza.
Connecting the dots, connettere i punti, che significa mettere assieme quello che sappiamo e tirarne fuori un risultato. Connecting the dots è un’espressione che Steve Jobs coniò nel 2005, ma come sempre serve la morte affinché alcune cose emergano in maniera definitiva.
I dots appaiono quando dopo le relazioni Lux canta in indiano l’unione fra il maschile ed il femminile, appaiono quando alla fine ci si prende per mano, appaiono quando Rita – ballerina – danza per noi…. e la sua energia rotonda si accoppia con l’energia del nostro cerchio che la circonda, appaiono di nuovo quando aderiamo alla proposta del Liberiamo l’abbraccio e ci troviamo uno nelle braccia dell’altro, senza differenze di età, religione e sesso.
A cena mi ritrovo a parlare con Gabriele. Torna il soggetto della spiritualità, parliamo della capacità di stare assieme, dell’importanza dell’unità, dell’importanza del maschile e del femminile.
Scattano ancora i dots… mi torna in mente il mito dell’androgino: la separazione, il dolore della separazione, la ricerca infinita degli esseri umani che cercano l’altra parte, la necessità di amare per trovarla.
E a seguire un altro flash… Fondazione e Terra, il quinto libro della fondazione, Isaac Azimov.
Alla fine del libro il protagonista Trevize arriva da Daneel, il robot che ha tenuto la memoria del mondo per 20.000 anni, e lascia lì Fallom l’androgina di Aurora che unisce il maschile ed il femminile… lei/lui sarà la chiave per andare verso Gaia e verso Galaxia.
Non avevo mai collegato che lo scrittore assieme al mito di Gaia avesse anche indicato la via dell’unità proponendo l’androgino come mezzo di unione, il maschile ed il femminile finalmente riuniti raccogliendo la memoria del mondo: geniale. Era così tanto avanti?
Ecco a cosa servono questi incontri… connecting the dots.
La cena passa, lenta chè siamo tanti … alla fine ci si ritrova, nella musica, nel ritmo dei bonghi suonati da Andrea, Carlo e Steve…
Il ritmo.
Il richiamo alla terra, dots … il grounding, il primo chakra … i tamburi continuano ….
Il ritmo scende nel mio stomaco e se ne impossessa, il corpo segue il ritmo nel silenzio della immobile sedia, vergognoso di mostrarsi, due ballerine, una ufficiale ed una ufficiosa, loro possono, io non mi do il permesso. … il ritmo sale e scende.
Steve propone: “suoniamo una musica che sia bella”.
A seguire si aggiunge il flauto di Andrea… nel ritmo preesistente è come se due mani si unissero. …
Ritmo e suono, struttura e armonia… l’incontro della complessità della musica, silenzio che scende…
Ancora Lux – lo sciamano. Si accuccia in terra, completa il suo rito.
Libera il suo bastone dai legacci, stende il fazzoletto con la Madonna Bianca in terra ci mostra gli altri simboli e li poggia sul foulard. Poi sfila uno strumento in legno intarsiato (l’indostani) dalla sua custodia e si raccomanda di non spaventarci per la profondità dei suoni che andremo ad udire, inizia.
Prima mi meraviglio, poi lo osservo, poi sprofondo in meditazione, l’udito è aperto. Non c’è posto per altro.
Ogni cosa è solo una voce, entra dentro di me….
Sono suoni gravi, gravissimi, quasi incredibile che la voce di un uomo possa essere così profonda …. Cosa sto ascoltando? Cosa richiama?
Il suono di un didgeridoo? Il brontolio di un leone? Il mugghiare del mare? Il rombo del terremoto? La vibrazione base della via lattea?
La vibrazione entra nel mio torace, entra nelle mie orecchie, sorprende la mia anima.
Poi l’indostani cambia tonalità e così la voce di Lux, salgono, lui intona una musicalità splendida, canta la sua anima, canta con la voce del suo corpo… e improvvisamente, sommessamente due bonghi iniziano ad accompagnarlo.
L’archetipo del ritmo si fonde con la voce e lo strumento, assieme riempiono l’aria, i tamburi tracciano nella terra la punteggiatura di un ritmo che quadra la musica.
Dentro di me la vibrazione sale come energia dal primo al 7 chakra.
Sale la voce, sale la vibrazione … al terzo passaggio l’indostani sale ancora e, lontano, entra il flauto di Andrea…
La mia meditazione diventa estatica … il suono, le vibrazioni del suono parlano direttamente alla coscienza, l’anima si nutre di suono, ed io sono lì, avvolto da un insieme di ritmo, base e melodia che parla direttamente un linguaggio che io non riconosco, ma che la mia anima conosce.
Che sia vero che l’indiano è il linguaggio madre dell’anima? Di tutte le anime?
Non lo so, ma è certo che Lei capisce.
Finisce la musica … prima ancora che la conseguente magia finisca Gabriella propone a Lux di cantare di nuovo la melodia dell’unione del maschile e del femminile.
Lux aderisce alla richiesta, ora la voce è più calda del pomeriggio, le sue note echeggiano potenti e piene, una vibrazione, una sorta di preghiera, una invocazione leggera ma forte, la sua canzone ancora una volta non parla alla mia mente, ma alla mia anima.
Finisce, mi lascia orfano.
Parole: Lux parla di un gioco, con il suo bastone. Un “assegnatore” della parola. Io ho bisogno di silenzio. Le parole proferite richiamano la mia mente, mi costringono ad interpretarle, mi costringono a usare la mia parte cognitiva …. Sono dissonanti, stonate, non per quel che dicono, ma dopo che l’anima ha vissuto la sua realtà, io ho bisogno di silenzio.
Chiedo il bastone e attraverso il suo potere sollecito un minuto di silenzio per tutti …. Rimaniamo nel silenzio …. Ringrazio. Accanto a me mi ringraziano del silenzio concesso.
Poi timidamente, entra in scena il flauto di Andrea … solista …. Suona Andrea e la mia anima torna in visibilio.
Sono note soffiate, cantate, intramezzate dalla vibrazione delle corde vocali, salgono attraverso la gola e si uniscono ai toni dello strumento.
Una musica che va e torna, che gira su se stessa, che si inerpica sulle scale musicali e vola in basso leggera sfiorando le note. Di nuovo sale in alto, note strappate, coccolate, e poi riscende in melodiosa scala per accarezzare le ottave più basse…
Quando termina finisce la carezza. Finisce il sogno, finisce la musica….
Vorrei che fosse stillness, silenzio, meditazione, “assaporazione” silenziosa della magia.
I bonghi, la voce, il flauto… magia, la magia dell’anima… la carezza di una musica che, immergendosi nel tema della giornata ha raccolto, attraverso l’energia globale dei presenti e quella cosmica intorno a noi, il misticismo di cui si è parlato, la spiritualità cui l’uomo anela, sfugge, rincorre alla ricerca di risposte che la logica non può fornire.
Chiudo il mio canale uditivo sensoriale, le altre parole arrivano in sottofondo, ma non hanno significato, non lo possono avere… non è il tempo delle parole, è il tempo dell’ascolto di sé.
Grazie a Gabriella che ha organizzato, grazie a tutti i presenti del contributo energetico, grazie alla Musa e grazie a coloro che la Musa stanotte l’hanno fatta rivivere.
Libero il mio abbraccio
Paolo Vittozzi