L’economia e la qualità della vita:Puo’il bene produrre beni?-prof. Michele Orecchia
ASSISI
Settembre 2003
Meeting:L’Oriente incontra l’Occidente sul sentiero francescano”promosso dalla Fondazione”Il Mandir della Pace”
L’economia e la qualità della vita
Tavola rotonda :
Economia e globalizzazione
Globalizzazione e i suoi oppositori
Globalizzazione e Paesi in via di sviluppo
Testimonianze
Verso un’economia equa e solidale
Proposte
Intervento del Prof. Michele Orecchia
Economia e la qualità della vita. Può il bene produrre beni?
Parlerò di economia perché sono un economista, un economista di formazione “occidentale” ma di esperienza “asiatica” laddove ancora oggi per molti di quei Paesi la qualità della vita è per pochi eletti.
Siamo qui anche e soprattutto per la “pace” e pace esiste se c’è qualità della vita.
Pace, parola dolce, usata e abusata talvolta anche da governanti perché in nome della pace e per la pace, ancora oggi, nel terzo millennio, muoiono popolazioni inermi e bambini in armi.
Tempo permettendo parleremo anche di questo.
Torniamo ora all’economia e alla qualità della vita, tra loro interconnessi come causa ed effetto.
Il significato
L’accezione più semplice di economia è l’impiego “razionale” del denaro e di qualsiasi altro mezzo volto ad ottenere il massimo vantaggio con il minimo sacrificio;
Significa anche il complesso delle risorse e attività dirette alla loro utilizzazione in un determinato ambito geografico, politico, amministrativo o limitatamente ad un settore oppure
la produzione e distribuzione delle ricchezze e può essere liberista, collettivistica, capitalista, socialista, pianificata; oppure la scienza che studia gli impulsi che spingono l’uomo ad agire secondo le sue esigenze materiali, spirituali, etiche oppure
l’attività economica diretta alla soddisfazione dei bisogni umani da un punto di vista pratico.
Mi soffermerò su quest’accezione che, più delle altre, si adatta al nostro tema: soddisfazione dei bisogni umani, secondo principi etici di solidarietà e sussidiarietà e che punta alla più ampia efficacia sociale, un’economia che, nel nostro Paese, ha profonde radici storiche che affondano nelle esperienze culturali e politiche quali il movimento operaio, l’associazionismo, il solidarismo laico e quello confessionale; le società di mutuo soccorso, le cooperative sociali e recentemente, le cooperative di mutua gestione, le associazioni no-profit e le ONLUS, le ONG che, tutte, mirano ad un’economia più equa.
Tutti indistintamente i governi, quelli dei Paesi ricchi e quelli dei Paesi più poveri, includono nei loro programmi di governo obiettivi per un’economia volta ad abbattere la povertà, le disuguaglianze sociali, a lottare contro la fame e le malattie, ad accrescere l’occupazione e a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni.
Le istituzioni internazionali quali la Banca Mondiale, il WTO, l’ILO, l’FMI e numerose agenzie delle Nazioni Unite, hanno il compito di promuovere lo sviluppo dei Paesi in transizione verso l’economia di mercato, di assistere con programmi di investimenti i Paesi in via di sviluppo, di attuare programmi per ridurre la povertà nel mondo; eliminare le barriere al libero commercio e raggiungere una maggiore integrazione tra le economie nazionali e migliorare le condizioni e quindi la qualità di vita delle popolazioni.
L’FMI –il Fondo Mondiale Internazionale- è un’istituzione pubblica, finanziata dai contribuenti di tutto il mondo; risponde ai Ministri delle Finanze e alle banche centrali dei vari governi i quali esercitano il loro controllo attraverso un complicato sistema di votazione basato su quello che era il potere economico dei diversi paesi alla fine della seconda guerra mondiale; all’epoca molti Paesi “in via di sviluppo” erano ancora “colonie” e qualsiasi sforzo potesse essere compiuto in termini di sviluppo economico era considerato un dovere dei “dominatori” europei.
Ancora oggi sono le principali nazioni industrializzate a “comandare” e un solo Paese, gli Stati Uniti ad avere un effettivo diritto di veto.
Venne creato al vertice di Bretton Woods con lo scopo di garantire la stabilità dei cambi fissi.
Nel 1971 veniva accettato il principio della fluttuazione del dollaro liberandolo dal “Gold standard”, ossia l’impegno a convertire la moneta americana in oro, al prezzo fisso di trentacinque dollari l’oncia.
Una volta presa la decisione di abbandonare il “Gold standard” i cambi fissi non esistevano più; quindi la funzione dell’FMI si era esaurita.
Purtroppo la storia ci ha insegnato che non esistono istituzioni più eterne delle grandi burocrazie.
Dal 1971 il Fondo non ha fatto che cercare nuovi compiti per giustificare la sua sopravvivenza e si è trasformata in agenzia di prestiti d’emergenza per i governi in crisi e lungo il percorso della sua trasformazione ha lasciato i cadaveri di molti disastri che ancora oggi continua a provocare.
L’FMI sostiene la supremazia del mercato
Costruito sul convincimento che ancora possa esercitare una pressione internazionale sugli stati affinché adottino politiche economiche più espansive –aumentando per esempio le spese, riducendo le imposte oppure abbassando i tassi d’interesse per stimolare l’economia- oggi l’FMI tende a fornire i fondi solo ai Paesi che si impegnano a condurre politiche volte a contenere il deficit, ad aumentare le tasse oppure ad alzare i tassi d’interesse e che pertanto conducono a una contrazione dell’economia.
L’FMI non ha fatto quello che doveva fare, cioè fornire ai Paesi afflitti da una contrazione economica fondi per consentire la ripresa e aiutarli nel tentativo di avvicinarsi alla piena occupazione:
le crisi nel mondo sono sempre più frequenti e più gravi nei paesi in crisi, i fondi e i programmi dell’FMI non solo si sono rilevati inadeguati a stabilizzare la situazione, ma in molti casi l’hanno addirittura peggiorata, specialmente per i poveri.
La caduta del muro di Berlino forniva all’FMI un nuovo compito, quello di gestire la transizione all’economia di mercato dell’ex Unione Sovietica e dei Paesi europei del blocco ex comunista.
Gli accordi di Bretton Woods avevano evidenziato la necessità di una ulteriore organizzazione economica internazionale per governare i rapporti commerciali internazionali.
Nel 1995 nasceva il WTO che fornisce una tribuna per lo svolgimento dei negoziati commerciali e assicura che gli accordi vengano osservati.
I Ministri del Commercio di ogni nazione si fanno portatori delle istanze della comunità commerciale –sia gli esportatori che auspicano l’apertura di nuovi mercati per i loro prodotti sia i produttori di merci in concorrenza con le esportazioni-
Questi gruppi cercano di mantenere in vita le barriere commerciali e di ottenere tutte le possibili sovvenzioni dai loro governi.
Il fatto che le barriere commerciali facciano salire i prezzi al consumo oppure che le sovvenzioni impongano degli oneri ai contribuenti passa in secondo piano rispetto ai loro profitti, mentre le questioni ambientali e relative al mondo del lavoro vengono considerate ancor meno e solo come ostacoli da superare.
L’apertura al commercio internazionale e, quindi, della liberalizzazione e ogni altro aspetto del fenomeno della mondializzazione e, quindi della
GLOBALIZZAZIONE
ha aiutato tanti Paesi a crescere in modo più rapido di quanto avrebbero potuto altrimenti.
Il commercio internazionale favorisce lo sviluppo economico quando le esportazioni di un paese spingono la sua crescita economica. La crescita basata sulle esportazioni è stata il cavallo vincente della politica industriale che ha arricchito gran parte dell’Asia, migliorando le condizioni economiche di milioni di individui.
Per gli effetti della globalizzazione, molte persone vivono più a lungo e con un tenore di vita nettamente superiore al passato.
Si può anche accusare la NIKE di sfruttamento per il basso livello salariale, ma per molte persone nei Paesi in via di sviluppo un lavoro in fabbrica rappresenta un’alternativa più vantaggiosa rispetto ad una vita di bracciante agricolo.
La globalizzazione ha ridotto il senso di isolamento percepito in gran parte del mondo in via di sviluppo, consentendo a molti conoscenze di gran lunga superiori a quelle di cui cent’anni fa erano in possesso i “ricchi” di qualsiasi altro paese; se l’apertura del mercato del latte giamaicano alle importazioni dagli USA può aver danneggiato gli allevatori di bovini locali, dall’altra ha fatto sì che i bambini poveri potessero usufruire di latte più a buon mercato.
Gli aiuti dall’estero hanno recato beneficio a milioni di persone, spesso in modi passati inosservati: i guerriglieri delle Filippine, deposte le armi, hanno trovato lavoro grazie a un progetto finanziario della Banca Mondiale; i progetti di irrigazione hanno più che raddoppiato il reddito degli agricoltori che hanno avuto la fortuna di ricevere acqua; i progetti educativi hanno portato l’alfabetizzazione nelle zone rurali; in alcuni Paesi, i programmi di lotta all’AIDS hanno contribuito a “limitare” la diffusione di questa terribile malattia.
“ Il nostro sogno è un mondo senza povertà”
Il motto “il nostro sogno è un mondo senza povertà” è sull’edificio che ospita la Word Bank a Washington e, al centro dell’atrio, è posta la statua di un ragazzino che tiene per mano un vecchio cieco per ricordare l’eradicazione della cecità fluviale (oncocercosi).
Di fronte alla sede della WB dall’altra parte della 19.ma strada c’è la sede dell’FMI, il centro della ricchezza mondiale.
I programmi dell’FMI, come traspare da questa mia esposizione, sono generalmente dettati da Washington e formulati, come ho avuto modo di costatare, nel corso delle brevi missioni dei burocrati che raccolgono dati e cifre nei vari Ministeri delle Finanze e nelle banche centrali.
Purtroppo la disoccupazione non può essere considerata come un semplice dato statistico; i disoccupati sono persone che hanno una famiglia e la cui vita viene colpita dalle politiche economiche proposte da esperti provenienti da fuori, pari, quasi alla guerra moderna, fortemente tecnologica che mira ad eliminare il contatto umano: sganciare bombe da 15.000 metri permette di non “sentire” quello che si fa!.
Vivendo in uno dei Paesi più industrializzati, pensavo che il problema principale per un economista, un ricercatore e un imprenditore “sociale”, fosse e sia quello sempre più preoccupante, della povertà nel mondo e, di conseguenza della qualità della vita.
Che cosa possiamo fare per il miliardo e quattrocentomila persone che vivono con meno di un dollaro al giorno, oppure per due miliardi e ottocentomila che vivono con meno di due dollari al giorno, vale a dire il 45% della popolazione mondiale?
Che cosa posso fare io per realizzare il sogno di un mondo senza povertà? Cosa possiamo fare noi? Perché stiamo parlando di economia e qualità della vita? Per prendere atto e nota delle statistiche o per agire?
Come possiamo promuovere gli interessi e tutelare le esigenze delle popolazioni deboli nel nostro Paese e nei Paesi in via di sviluppo? Insistendo e premendo sul nostro governo e le nazioni industrializzate affinché aprano i lori mercati o forniscano aiuti più efficaci?
Sono gli oppositori della globalizzazione che ci sono venuti in aiuto: i collegamenti tra gli attivisti, i no-globals, in diverse parti del mondo, hanno generato la pressione che ha portato al trattato internazionale sulla messa al bando delle mine antiuomo, malgrado l’opposizione di molti governi; un’altra pressione “pubblica” ha costretto la comunità internazionale a cancellare il debito di alcuni dei Paesi più poveri.
LA CHIESA CATTOLICA
Negli ultimi anni la Chiesa Cattolica ha criticato il fenomeno della globalizzazione.
“Non possiamo restare indifferenti a questa situazione. Una società mondiale che lascia così tanti dei suoi cittadini ai margini del suo progresso non ha titolo di chiamare se stessa globale” (terza conferenza delle Nazioni Unite sulle “Least developed countries”).
In occasione dell’ultimo Summit delle Americhe a Quebec dal 20 al 22 aprile 2001 nel corso del quale si sarebbe dovuto firmare la bozza del patto per l’area di libero scambio delle Americhe, la conferenza dei Vescovi dichiarava: “Vogliamo che la voce del popolo sia ascoltata senza alcuna violenza; ….il summit avrà successo se avverrà con una trasparenza maggiore …i cittadini del continente hanno bisogno di essere in grado di contribuire di più a questi dibattiti che determinano il nostro futuro”.
La Chiesa sta con la società civile e interviene “quando è in gioco la dignità della persona, della quale i modelli economici devono tener conto…”
I cristiani affermano la centralità della persona umana, intorno alla quale si originano “diritti universali”. Partendo da questi si costruiscono domande politiche e progetti che possono essere proposti e sviluppati insieme a chi quegli stessi diritti riconosca attraverso percorsi culturali di fedi diverse.
La vita è valore universale che va tutelato; per farlo occorrono azioni concrete di solidarietà, là dove la dignità umana è offesa. L’intervento concreto è affidato alle ONG di ispirazione cristiana e alla Caritas che conducono battaglie in tema di riduzione della povertà, partecipazione della società civile e sviluppo sostenibile, attenzione ambientale, condizioni di lavoro e regole del commercio internazionale.
Secondo la visione che pone la persona e la tutela della sua dignità e dei suoi diritti al centro dell’organizzazione sociale e che su questa centralità fonda le regole di convivenza sociale, la globalizzazione va regolata.
Occorre un sistema di regole che, a partire dalla dimensione economica, governi il mercato di capitali e delle informazioni in modo che venga garantita la vita di ogni cittadino, la sua dignità e la sua libertà.
LA QUESTIONE SOCIALE
L’evidenza di profonde ineguaglianze tra i paesi e nei paesi, la notizia degli alti livelli di povertà, l’emersione di insicurezze all’interno dei paesi sviluppati non implicano un giudizio negativo sulla globalizzazione: il reddito pro capite anche nelle aree meno sviluppate, ove vive 80% della popolazione mondiale, è aumentato di circa tre volte tra il 1950 e il 1995.
I paesi che si sono maggiormente globalizzati hanno registrato tassi di crescita del 7% ben più elevati di quelli del 2% verificati in paesi con il minor indice di integrazione.
La distribuzione del reddito, però, è peggiorata. La percentuale di popolazione in condizioni di “povertà assoluta” (meno di due dollari al giorno) è scesa dal 34 al 17% mentre – in assenza dello sviluppo indotto dalla globalizzazione – sarebbe altrimenti aumentata al 42%.
I paesi più globalizzati hanno incrementato in misura più che doppia la spesa pubblica dedicata allo stato sociale (sanità, sicurezza sociale, istruzione, alloggi), mentre i paesi a minore integrazione sono stati costretti a dimezzarla.
I benefici della globalizzazione sono stati altamente concentrati e molti paesi in via di sviluppo non sono stati nemmeno sfiorati.
Se la quota di esportazioni di manufatti detenuta dai paesi in via di sviluppo è cresciuta tra il 1980 e il 1990, solo una dozzina di loro ne hanno beneficiato e quasi solo esclusivamente quei paesi ove si sono realizzati investimenti esteri attraverso l’istituto della joint venture o del BOT.
La recente volatilità dei mercati finanziari ha generato crisi dagli alti costi sociali in termini di disoccupazione, impoverimento e malattie; l’occupazione sommersa –oltre seicento milioni di persone- è aumentata nelle grandi economie dell’America Latina, come il Brasile e l’Argentina ove rappresenta oltre il 50% del lavoro salariato.
In questo enorme sommerso si cela un fenomeno indotto dalla povertà, il lavoro minorile che si svolge in condizioni di pericolo per la incolumità fisica e psichica dei minori. Il lavoro minorile si riscontra in agricoltura, nelle cave, nelle miniere, nell’edilizia, nelle produzioni manifatturiere per l’esportazione. I minori risultano impiegati anche nelle reti della criminalità organizzata, nella pornografia, nella prostituzione, nei conflitti armati.
L’ILO stima che possono essere ben oltre settanta milioni i minori al lavoro in condizioni “pericolose” e calcola ben 13 milioni di incidenti di minori sul lavoro dei quali il 12% mortali.
Il tasso di infortuni nelle economie avanzate corrisponde alla metà di quello rilevabile in Europa dell’Est, Cina e India, tassi che si raddoppiano in Asia.
Nei paesi industrializzati si registra una notevole diminuzione degli infortuni per i miglioramenti nei luoghi di lavoro, nei sistemi di sicurezza e di pronto intervento, ma emergono nuovi rischi in relazione alle nuove forme di lavoro, dai problemi muscolo-scheletrici a quelli mentali, all’esposizione alle sostanze cancerogene.
Secondo il “World Employment Report 2001 dell’ILO”, un terzo della forza lavoro mondiale (oltre tre miliardi di persone) consiste di disoccupati e sottoccupati.
Così altri livelli di disoccupazione, sottoccupazione e lavoro informale, inducono una straordinaria debolezza dei sistemi di protezione e sicurezza sociale: il 75% di oltre 170 milioni di disoccupati non beneficia di alcuna indennità di disoccupazione.
La situazione dei sistemi previdenziali pubblici è al collasso anche nei Paesi UE: il 90% della popolazione mondiale in età di lavoro NON è coperta da assicurazioni pensionistiche idonee a garantire un reddito adeguato in vecchiaia.
Si sommano i molti occupati nel sommerso e nei paesi più poveri che ne sono privi, la transizione dalle economie pianificate, la situazione dei sistemi deboli in Africa, la relativa giovinezza dei sistemi dei Paesi arabi, la bassissima resa di quelli latino-americani, lo squilibrio in molti Paesi UE e alcuni paesi industrializzati.
In relazione poi alla protezione sanitaria, l’ILO stima che oltre 155 milioni di persone non hanno accesso ai servizi sanitari.
In questo contesto di forti disuguaglianze i fenomeni migratori agevolati dai bassi costi delle comunicazioni, hanno trovato nuovo impulso: oltre 150 milioni di persone si muovono all’interno dei continenti, tra un continente e l’altro; queste persone danno luogo al fenomeno delle rimesse verso i paesi d’origine, rappresentando il secondo maggiore flusso finanziario e, per molti paesi, un ingresso di divisa estera superiore agli investimenti esteri diretti e all’aiuto allo sviluppo.
Larga parte dei “movimenti migratori” appartiene alla clandestinità che dà luogo a forme di abuso, di sfruttamento e discriminazione nel lavoro, alimentando economie sommerse anche nei Paesi industrializzati.
In questi flussi si nasconde un fenomeno odioso purtroppo in crescita, il traffico di esseri umani a fini di impiego forzoso: in India, Nepal e Pakistan il cosiddetto “bonded labour” contro debito; in Myanmar il lavoro forzato è istituzionalizzato.
Rilevante il traffico di donne e bambini: solo gli Stati Uniti sarebbero la destinazione di oltre 60 milioni di donne e bambini clandestini all’anno per il business della prostituzione, della pornografia e attività di pulizia! Oltre un miliardo e duecento milioni di esseri umani privati dell’accesso all’acqua potabile, si prevede che per il 2025 questa cifra sarà a tre miliardi e centomilioni; l’OMS ha registrato che, nell’anno 2000, un milione e trecento bambini sono morti per malattie collegate alla scarsa qualità dell’acqua.
Nel 1998 la popolazione mondiale con un reddito inferiore a un dollaro al giorno era di circa 1,2 miliardi di persone cui si devono aggiungere altri 1,6 miliardi che vivono con meno di due dollari, quindi circa la metà della popolazione globale, quasi esclusivamente ubicata nei paesi in via di sviluppo e nelle economie in transizione, si trova in una situazione di oggettiva povertà.
La questione sociale può quindi essere sintetizzata come perdita della dignità: il lavoro, in quanto elemento fondativi del consorzio umano e strumento della realizzazione umana, assume il valore di concreto parametro della equa distribuzione della ricchezza e di specifica alternativa alla povertà e non si deve trattare di un qualsiasi lavoro, ma di un “lavoro decente” come precisato dall’ILO.
LA STRADA DA PERCORRERE
La globalizzazione, nella cornice del liberalismo classico, è quella che porta verso un libero scambio e una cooperazione economica e culturale; una economia globale ove i popoli cooperano per innalzare il proprio livello di vita. Libero scambio significa espansione, divisione del lavoro, circolazione di persone, beni e servizi, pari opportunità, mobilità, flessibilità, migliori opportunità di lavoro; un “sistema” che permette ad un numero sempre maggiore di persone di migliorare la propria condizione di vita.
La globalizzazione è governata da istituti internazionali che debbono collaborare strettamente; la cooperazione tra di loro presenta una concreta possibilità di elevare il livello di gestione delle trasformazioni economiche e sociali; con robusti interventi correttivi e di sostegno (FMI), con concrete politiche di sviluppo (WB), con progetti concreti nei settori chiave dell’economia, in agricoltura, istruzione, formazione a livello avanzato, del risparmio con politiche di maggior apertura alle produzioni dei paesi poveri (WTO) in un contesto di regole partecipate e condivise.
La globalizzazione ha aiutato centinaia di milioni di persone a migliorare il loro tenore di vita, arrivando a un livello insperato. La globalizzazione dell’economia ha avvantaggiato i paesi che sono riusciti a trovare nuovi sbocchi per le esportazioni e attirare gli investimenti stranieri. I paesi che hanno tratto vantaggio sono comunque quelli che si sono resi artefici del loro destino, riconoscendo il ruolo che il governo può svolgere nello sviluppo.
Come già detto per milioni di persone, la globalizzazione non ha funzionato; molti hanno visto peggiorare le loro condizioni di vita.
Se continuerà ad essere condotta così com’è avvenuto in passato, la globalizzazione non solo non riuscirà a promuovere sviluppo, ma continuerà a creare povertà e instabilità.
Senza riforme la reazione violenta che è già cominciata si farà ancora più aspra e il malcontento non potrà che crescere, sfociando in “guerre” e “odio”, quello che già stiamo vivendo. Sarà una tragedia per tutti noi e per i miliardi di persone che avrebbero potuto trarne benefici concreti. E non è vero che solo i paesi del terzo mondo verrebbero penalizzati perché è l’occidente il primo penalizzato, lo stesso nostro Paese ove il “sistema Italia” è ancora incapace di dare sicurezza occupazionale ai giovani con un tasso di disoccupazione giovanile (under 25) al 27% e nel Sud un giovane du due non lavora!
La situazione di oggi mi fa pensare a com’era il mondo settant’anni fa: mentre la maggior parte dei paesi sprofondava nella grande depressione, i fautori del libero mercato sostenevano che i mercati si sarebbero auto regolati e con il tempo, sarebbe ritornata la prosperità. Keynes che invece sosteneva il contrario, venne messo in berlina, tacciato di essere socialista e nemico dei mercati. La medicina di Keynes funzionò.
Oggi il sistema del capitalismo si trova ad un bivio, come settant’anni fa.
Negli anni trenta l’economia mondiale si salvò grazie a politiche mirate alla creazione di posti di lavoro e a salvare coloro che soffrivano per il crollo dell’economia globale che gettò nella miseria più nera decine di milioni di lavoratori di tutto il mondo e mandò in rovina migliaia di imprenditori e risparmiatori.
Approfondendo l’analisi della grande depressione ricorrono analoghi fattori: le tariffe doganali, la questione dei debiti, le conflittualità “nazionalistiche” –ora “etniche” e “confessionali”; le manovre sui tassi d’interesse, assenza di un efficace controllo statale sul sistema bancario; disoccupazione e sottoccupazione. Per fortuna c’è una sempre maggiore consapevolezza di questi problemi e una crescente determinazione da parte di tutti i governi di porre in essere misure concrete; quasi tutti sono concordi nell’affermare la pericolosità di una liberalizzazione troppo rapida dei mercati dei capitali in assenza di una opportuna regolamentazione.
Nel terzo millennio serve una strategia di riforma estremamente articolata: è necessario rivedere gli accordi economici internazionali; i paesi sviluppati dovrebbero eliminare le barriere commerciali mettendo in pratica quello che predicano agli altri.
I paesi in via di sviluppo devono assumersi, in prima persona, la responsabilità del loro benessere; devono gestire adeguatamente i loro bilanci, non spendendo di più di quanto incassano e devono eliminare le barriere protezionistiche che generano profitti elevatissimi ma per pochi privilegiati.
I paesi poveri hanno bisogno di governi efficaci, aperti e trasparenti, svincolati dalla corruzione che finora ha soffocato l’efficienza del settore pubblico e la crescita di quello privato.
Alla comunità internazionale i paesi poveri devono chiedere che accetti il loro bisogno e il loro diritto di compiere autonomamente le scelte ritenute giuste, dovrebbero essere incoraggiati ad adottare strutture normative adeguate alla loro situazione e a non accettare schemi studiati da e per paesi più sviluppati oppure ad adeguarsi a norme e procedure che non hanno contribuito a stabilire.
Lo “sviluppo” non è strumento per aiutare poche persone ad arricchirsi o per creare alcuni settori protetti da cui trae vantaggio solo una élite ristretta. Sviluppo non significa aprire boutique “Benetton”, “Prada” o “Louis Vuitton” negli shopping center creati dai paesi ricchi al centro delle città per poi lasciare in miseria i poveri delle campagne.
Il fatto di poter acquistare borse Gucci in un grande magazzino di Mosca, Bucarest o di Hanoi non significa che questi paesi sono passati ad un’economia di mercato. Sviluppo significa trasformare le società, migliorare la vita dei poveri, dare a tutti la possibilità di successo e garantire a chiunque l’accesso ai servizi sanitari, all’istruzione, alla formazione.
Le istituzioni internazionali devono garantire la partecipazione attiva, quali “decision makers”, soggetti attivi al dibattito per i loro programmi di sviluppo.
Le istituzioni devono prendere atto dei cambiamenti in atto in Medio Oriente, nel Sud Est Asiatico e in India e, quindi dei mutamenti degli scenari, delle esigenze dei popoli. L’occidente ha creato queste istituzioni e l’occidente le deve far funzionare.
PROPOSTE
1. Strutture di credito diffuse; modelli di utilizzo etico della finanza per una “finanza” al servizio dell’uomo.
2. Commercio equo e solidale
3. ECOVILLAGGI – modelli urbani ecosostenobili per una migliore qualità della vita.
Comunità autosufficienti energeticamente mediante la produzione di energia da fonti rinnovabili.
• Sistemi di forme di convivenza in armonia con la natura e gli altri esseri viventi.
• Impatto ambientale “zero” con riciclaggio rifiuti e compostaggio: massima cura della risorsa acqua e delle altre risorse naturali.
• Produzione di agricoltura naturale e biologica mirata alla autosufficienza alimentare.
• Agricoltura biologica.
• Recupero di aree boschive.
• Recupero di aree, borghi abbandonati, aree dimesse e in degrado.
• Servizi per la salute, la sicurezza e la qualità della vita.
• Artigianato e sviluppo della creatività individuale e collettiva.
• Istruzione e formazione.
• Creazione di nuove opportunità occupazionali.
INVESTIMENTI PER LE NUOVE GENERAZIONI
VERSO UNA MIGLIORE QUALITA’ DELLA VITA
ECOVILLES
Città ecologiche
Insediamenti umani di tipo mediterraneo altamente ecocompatibili, polivalenti ed autosufficienti
ECOVILLAGGI
Città ecologiche
Comunità a impatto ambientale “0”
Progetti “pilota” per lo sviluppo sostenibile
• BIO-ARCHITETTURA
• AUTOSUFFICIENZA ENERGETICA
• COMPATIBILITA’ AMBIENTALE
Bio-architettura
Bioregionalismo (terra, flora e fauna locale) caratteristiche climatiche ciclo dell’acqua geologia locale individuazione del “genius loci” analisi delle risorse naturali.
Tecniche costruttive ecologiche a basso impatto ambientale tecniche di Feng-Shui e geobiologia
Recupero di tradizioni costruttive locali materiali locali trasformazione in “risorse” di scarti e rifiuti architettura partecipata.
Autosufficienza energetica
Architettura bio-climatica riscaldamento e raffrescamento passivo ventilazione naturale illuminazione naturale impianti eco-compatibili produzione di bio-gas per l’autotrazione e il riscaldamento co-generazione pannelli solari per la produzione di acqua calda sanitaria e il pre- riscaldamento dell’impianto di riscaldamento pannelli solari fotovoltaici per la produzione di energia elettrica.
Compatibilità ambientale
Sviluppo di capacità artigianali e manuali per innescare processi di auto-realizzazione e cooperazione interdipendente
“Ci impegniamo ad adottare sistemi di produzione, consumo, trasporti e insediamento eco-sostenibili. Ci impegniamo a prevenire l’inquinamento, a rispettare i limiti dell’eco-sistema locale, a preservare le opportunità per le generazioni future”.
Scelte consapevoli per minimizzare l’impatto ambientale e azzerare l’accumulo di rifiuti non riciclabili
Promuovere il rimboschimento e curare lo sviluppo naturale della flora e della fauna esistenti.
Riscoperta di antiche arti e mestieri, promuovendo nuovi bacini di impiego, nuove attività artigianali e imprenditoriali.
Coinvolgimento di tutti i soggetti nei processi di valorizzazione e delle attività culturali.
Programma ECOVILLAGGI
• Ricerca, a livello regionale, nazionale e comunitario per la individuazione di aree rurali private e pubbliche, di aree dismesse e in stato di abbandono, promuovendone la bonifica, la coltivazione e il recupero creando ECOVILLAGGI.
• Promuovere a livello internazionale la creazione di un “fondo” per la realizzazione di progetti ECOVILLAGGI in tutta l’Unione e in Paesi in via di sviluppo
• Redigere un sistema di regole per la bioedilizia, sperimentata sul campo ed esportabile, accompagnata dall’applicazione di un sistema innovativo di valutazione della sostenibilità ambientale dell’edilizia.
Sede di grandi appuntamenti e manifestazioni di portata globale; un luogo ove l’individuo, consapevole di essere utile alla comunità nella quale è inserito e della quale fa parte integrante, esprime la propria produttività con riferimento alla propria estrazione e alle proprie condizioni: il primo insediamento ove l’anziano fornisce la propria opera e “assistenza” secondo capacità, esperienze, attitudini e desiderio; occasione di continuità produttiva e di trasferimento delle sue esperienze e professionalità agli altri, in particolare ai giovani.
Luogo di formazione ad una nuova cultura nei consumi, nell’alimentazione, nel vivere “ecologico”, nell’osservare e far osservare i confini ecologici in rapporto all’energia, all’acqua, all’aria, alla flora, al suolo e alla fauna; a tutte le altre risorse naturali e nei rapporti con gli altri.
Una realtà urbana “fuori porta” a misura d’uomo e al servizio dell’uomo.
PROPOSTA DI PARTECIPAZIONE ALLA PROGETTAZIONE REALIZZAZIONE E GESTIONE DI ECOVILLAGGI
Risparmio & Investimento
La proposta è quella di partecipare ad un “sistema” che renda possibile “l’obiezione” monetaria mediante l’autogestione dei propri risparmi e dei propri investimenti.
Il “sistema ECOVILLAGGI” si basa sul principio della raccolta diretta dai Soci, in quanto tutti, investitori istituzionali privati, acquirenti di unità immobiliari a destinazione residenziale, commerciale, rurale e artigianale o acquirenti di aree a destinazione alberghiera, espositiva, partecipano alla “costruzione” di ECOVILLE sin dalla fase progettuale. Tutti sono chiamati a collaborare attivamente, con risorse finanziarie, professionali e manodopera.
Le caratteristiche della propria casa, del negozio, della “trattoria”, del centro sportivo, della villetta o della casa rurale vengono “decise” dal proprietario e non dall’impresa di costruzione e altrettanto dicasi dei materiali da usare, fermo restando che l’intera ECOVILLE verrà realizzata secondo criteri e standards bioarchitettonici e di “compatibilità ambientale”.
Insieme con il gruppo di professionisti verranno concordate le funzioni, gli spazi, le volumetrie: la casa, l’ufficio su misura.
Conseguentemente anche il costo sarà “personalizzato” in quanto analizzato e concordato con ogni socio.
Come noto, nel nostro Paese l’attività di raccolta del risparmio dal pubblico è riservata in via esclusiva a soggetti aventi natura bancaria. Era anche previsto che i soci di una qualsiasi società potessero concedere prestiti alla struttura cui facevano capo e, per le cooperative, era prevista la raccolta di prestito sociale a mezzo di libretti di deposito. Tale strumento era stato adottato per favorire il reperimento di liquidità a basso costo in un mondo in cui i soggetti come quelli di natura cooperativa ne avevano sempre urgente necessità per lo svolgimento delle loro attività imprenditoriali.
Recentemente sono nate le cooperative di “Mutua Autogestione” (MAG) che raccolgono risparmi dai loro soci investendoli in favore dell’economia no profit; si tratta di un movimento di pensiero che non condivide l’attuale stato delle cose che non si limita alla “negazione” ma costruisce un modello alternativo di comportamento.
Recentemente, quale ulteriore passo in avanti, è nata la Banca Etica.
Il “sistema” ECOVILLES, richiamandosi ai principi che ispirarono le società di mutuo soccorso e alle attuali MAG, propone la raccolta di risparmio e di investimento allo scopo esclusivo e primario di acquistare aree ove promuovere la realizzazione di ECOVILLES.
La normativa vigente in Italia permette la raccolta diretta del risparmio alle cooperative che svolgono un’attività non finanziaria. Esiste la possibilità di mantenere il risparmio autogestito (in una cooperativa non finanziaria) e la partecipazione diretta alle scelte sui finanziamenti.
La situazione economica attuale, la stagnazione secondo il linguaggio “politichese” e la recessione per noi “osservatori” – inflazione, disoccupazione, deficit di bilancio, conflitti e tensioni sociali – evidenzia una mancanza cronica di risorse per lo sviluppo e per l’occupazione e una posizione pregiudiziale di rifiuto del sistema creditizio verso il mondo del “sociale”.
I conti in rosso del “sistema Italia” rischiano di far aumentare il debito nazionale e creare grosse difficoltà alle generazioni future, ai nostri figli.
Alcuni governi, naturalmente, preferiscono tenere nascosta la reale ripartizione della ricchezza tra le generazioni; la loro priorità è quella di gestire i problemi immediati e di “garantire” i benefici promessi per il presente.
I disavanzi “di bilancio” ci facciano riflettere sulla giusta distribuzione della ricchezza tra le generazioni e sulla condivisione dei rischi tra generazioni diverse: nessuna generazione deve essere costretta ad accettare rischi economici non necessari imposti da un’altra generazione.
Il sistema ECOVILLES obietta il sistema Paese e promuove un sistema più equo e dignitoso, non condividendo la logica bancaria del “dare a chi ha già” e del “gestire” il risparmio del cittadino investendolo in ventures non partecipate e non condivise.
Il disegno ECOVILLES si traduce in alcune regole fondamentali e fondanti:
• Partecipazione reale del “socio” del sistema ECOVILLES e dei “lavoratori” nella gestione delle Istituzioni e delle imprese; relazioni eque e solidali improntate a criteri di reciprocità, sussidiarietà e di partecipazione operativa; salvaguardia anche per le generazioni future del bene ambiente; educazione e formazione globale e permanente che permetta di formare culturalmente e professionalmente, di prendere coscienza della propria dignità, delle proprie potenzialità e di essere artefici del proprio sviluppo.
Il modello ECOVILLES individua come fattori della produzione il lavoro e le risorse finanziarie, scelta che porta ad organizzare le attività produttive e gestionali della comunità, garantendo la partecipazione dei lavoratori (cooperative) e degli investitori alla gestione (consorzio, fondo d’investimento, società di gestione).
Linee guida del sistema ECOVILLES
• Autogestione
• Autosufficienza energetica
• Autosufficienza alimentare
• Trasparenza della gestione: i soci investitori controllano l’operato del “management” da loro prescelto
• Occupazione garantita ai soci (Cooperative – Consorzio – investitori)
• Recupero al lavoro di soggetti “deboli”
• Investimento nella ricerca e nella formazione
• Istituzione di una facoltà di bioetica per lo studio dei problemi della medicina e della bioetica; elementi di genetica e gnomica; bioetica ed ecologia; antropologia; filosofia della scienza e della medicina; medicina legale; diritto internazionale e della UE; master in scienze ambientali e bioarchitettura europea. Laboratori linguistici multietnici;
• Servizi socio-sanitari in integrazione al sistema sanitario nazionale con particolare riguardo alle attività di prevenzione e sicurezza.
Priorità
Ecologia, agricoltura biologica, alimentazione naturale, commercio equo e solidale, pacifismo, esternalità e solidarietà, occupazione giovanile, tutoring e mentoring (anziani).
Risparmio gestito e sistema bancario
Sistema Paese
• I tassi attivi riconosciuti dalle banche si assottigliano sempre di più (1%)
• I costi delle operazioni bancarie sono onerose: le spese annuali di gestioni di un conto corrente toccano € 433,00 (quattrocentotrentatre);
• Versamenti, prelievi, domiciliazione delle bollette, bancomat, tenuta del conto, estratto conto…sommando queste voci con € 10.000,00 si conferisce alla banca più di quanto si riceve in interessi:
€ 433,00 contro € 95,00
con un saldo a favore della banca di € 339,00; il tutto al netto delle imposte e senza contare l’effetto inflazione.
• Il rendimento di alcuni “prodotti finanziari” quali BOT, certificati di deposito, fondi monetari, fondi di investimento, fondi chiusi, fondi speculativi, obbligazioni, obbligazioni convertibili vanno da un minimo dell’1,4% netto ad un massimo del 2,6% netto. Se entriamo nella giungla dei titoli quotati in borsa, delle azioni, allora dobbiamo essere consapevoli e pronti quindi ad accettare una graduale erosione del nostro capitale e dei nostri risparmi.
Ci sia sufficiente ricordare i recenti scandali :
o ENRON
o ARTHUR ANDERSEN
o MERRILL LYNCH
o ALLSTOM e la nostrana “CIRIO”
che hanno messo in evidenza i pericoli insiti in un mercato senza vincoli e senza regole, dominato da “speculatori” privi di scrupoli che agiscono con calcolo sotto la linea d’ombra della legge, che truffano le regole del gioco e che muovono, beneficiandone in esclusiva, organizzazioni criminali di altissimo livello e di forte influenza.
È confortante pensare che l’esercito degli “obiettori” va aumentando, convinti dell’esigenza di una economia ecologicamente e socialmente sostenibile; di una economia etica e sociale, al servizio dell’uomo, delle sue esigenze e non dell’astratto profitto ad ogni costo.
Il ruolo dell’impresa all’interno della comunità civile sta attraversando profonde trasformazioni: se una volta, con la produzione di beni e servizi tesi al miglioramento della qualità della vita dell’uomo e con la crescita dell’occupazione, ciascun imprenditore poteva affermare di svolgere una funzione sociale oggi, oltre a questo, all’impresa è richiesto sempre più di intervenire e investire nel sociale, chiamata a servire la comunità ed i cittadini, dedicando anche risorse umane con adeguate professionalità.
Investendo nel sistema ECOVILLES è contribuire con risorse economiche e capacità progettuali allo sviluppo civile, sociale ed economico della comunità umana.
Questo significa avere come nostri soci persone che sappiano leggere i bisogni della comunità, valutare progetti che rispondono a quei bisogni; collaborare nella ricerca della migliore soluzione ai problemi, sostenerli nella fase progettuale e di realizzazione e valutarne i risultati per impostare nuove linee d’azione.
Il “Sistema ECOVILLES” è, come tutte le intraprese, un’impresa con una “cultura del profitto” e una “cultura sociale”, tra loro integrate.
Siamo convinti che queste considerazioni possano contribuire a far sì che chi viene a contatto con noi e il nostro sistema offra il suo contributo per migliori stili di vita, per un mondo in pace, per un mondo migliore, con meno poveri.
Il programma prevede la costituzione di Cooperative (ricreative, sportive, culturali, per la ristorazione, per l’igiene, la pulizia e la gestione del verde, per le costruzioni edili, per la costruzione di abitazioni per i soci, tra artigiani, tra commercianti, di produzione e lavoro) e, in caso di adesione al sistema ECOVILLES in questa fase, di cooperative già consolidate e operative, la costituzione di consorzi che faranno capo al “Management” di ECOVILLES, società di gestione del complesso o dei vari complessi che si andranno a realizzare.
Per quanto riguarda gli istituti giuridici abbiamo optato per forme cooperativistiche e consortili per una gestione snella, efficace e trasparente e per gli aspetti fiscali e agevolati.
Michele Orecchia
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00136 Roma
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