I VEDA E LA SALUTE OLISTICA: Etica nel lavoro e nel tempo libero Dr. Marco Ferrini,
Ph.D. in Psychology
Verona Centro NaturaSì, 8 novembre 2002
Lo stato di benessere è lo stato naturale cui tutti nell’intimo aspirano, anche se poi, quando si dà ascolto alla sola mente razionale, si tende a giudicare “normali” o “inesorabili” la sofferenza, la malattia ed altri mali che disseminano il cammino dell’esistenza umana. Questi mali sono menomazioni che risultano per l’individuo insopportabili ed inaccettabili, ma che vengono nella maggior parte dei casi considerate inevitabili. Questa contrapposizione che si erge tra il desiderio e il pensiero, tra il volere e lo sperimentare, determina una lacerazione interiore, una disarmonia grave che si ripercuote anche sul piano fisico. Il conflitto interiore tra le proprie aspirazioni più intime e la realtà contingente affatica, logora la persona, anche se quest’ultima generalmente soltanto in parte ne è cosciente. Il soggetto non ha infatti percezione di tutta l’energia che, a causa di conflittualità irrisolte, viene dispersa e dissipata a livello inconscio. Sul piano superficiale la persona ne percepisce e sperimenta i sintomi che però non riesce compiutamente a decifrare: si sente stanca, spossata, insoddisfatta, incapace di attingere alle proprie risorse interiori e quindi anche nervosa, agitata, vittima di stress e ansia, ma non è in grado di individuare effettivamente qual è la causa profonda di questo malessere. Il più delle volte l’individuo, non trovando adeguata assistenza o sostegno, finisce per operare una rimozione e le proprie problematiche, lasciate irrisolte, acquisiscono uno spessore ancora maggiore ed una sempre maggiore carica psichica negativa che non di rado dà origine a complessi e ad altri più o meno gravi disturbi della personalità. Lavorare su di sé non è facile: indagarsi nel profondo richiede esperienza e competenza e soprattutto l’aiuto di una guida che ci accompagni nella ricerca e nell’esplorazione di noi. Nella letteratura psicologica indovedica viene tracciata un’elaborata metodologia per l’analisi e il riequilibrio dei contenuti psichici e per una presa di consapevolezza della parte più profonda e vera di sé, oltre gli strumenti “corpo” e “mente”. E’ la persona che deve diventare protagonista e creare lei stessa i presupposti per avviare il processo di guarigione, senza affidarsi passivamente all’intervento di altri. La collaborazione partecipativa tra paziente e medico, come tra discepolo e Maestro, è infatti essenziale affinché la cura sia effettiva ed efficace. La sofferenza e la malattia non sono mali inevitabili: esistono stati di coscienza elevati in cui il soggetto può riuscire a vivere ogni esperienza distaccandosi emotivamente dagli eventi che colpiscono corpo e psiche ma che non scalfiscono in nessun modo l’essenza spirituale (atman) che costituisce l’originaria natura di ogni essere. Nella Bhagavadgita (VI.19) si dice che la mente del saggio è stabile come una fiamma al riparo dal vento, poiché continuamente ricondotta sotto il controllo del sé. Chi invece non esercita il dominio sulla mente viene scaraventato dai suoi flutti psichici come una pagliuzza tra le onde. Nella società attuale sono in molti a lamentarsi per lo stress cui sono continuamente sottoposti. In una certa misura lo stress è quasi inevitabile ed è anche positivo se saputo gestire come stimolo alla crescita e all’evoluzione. E’ invece patologico quando diventa eccessivo e va fuori controllo, quando sfocia cioè in ansietà ed emozioni negative che, invece di stimolare ad un progresso, inibiscono ed esauriscono le risorse energetiche dell’individuo. La Bhagavadgita ed altri testi indovedici insegnano la via dell’equilibrio in ogni azione ed ambito dell’esistenza umana: nella vita relazionale ed affettiva, sul lavoro, nella famiglia, nelle attività più semplici e quotidiane come il mangiare e il dormire. La pratica dell’equilibrio tempra la mente, la rafforza, la educa, la sostiene e rende capace di affrontare ogni evento con ponderatezza, con una visione che trascende la contingenza e che tiene l’orientamento saldo verso lo scopo e il senso profondo di noi e del nostro esistere. I problemi in verità non esistono, se soltanto noi stiamo attenti a non crearceli. I problemi non sono determinati da cose o situazioni oggettive: indipendentemente dalla loro natura, queste ultime possono rivelarsi per noi positive o negative a seconda di come le viviamo. L’ambiente di lavoro, la famiglia, gli ambiti religiosi possono essere generatori di nevrosi ma non perché siano nocivi di per sé, ma perché sono spesso affrontati e vissuti con un’attitudine scorretta. La conoscenza di sé acquisita attraverso i testi sacri tradizionali, con la guida di chi ha già sperimentato con successo un percorso di ricerca interiore, ci aiuta a comprendere dov’è che sbagliamo e come possiamo correggerci e migliorarci. La spiritualità non è un qualcosa di astratto: è un viaggio per un ritorno a noi stessi, per ritrovarci e per imparare a pensare, ad agire, a vivere. Da bambini ci abituiamo a camminare, a mangiare, ad articolare parole, ma l’avventura non si ferma qui: vivere è apprendere l’arte dell’agire, del parlare, del mangiare, del relazionare con gli altri, per compiere ogni cosa con consapevolezza nitida, con il desiderio di fare il bene non solo per noi ma per tutti gli esseri e questo è possibile quando la persona si ricollega in armonia con l’ordine divino che regola e sostiene tutto ciò che esiste. I Veda descrivono tre dimensioni di esistenza: adhibhautika, il livello degli elementi psicofisici, adhidaivika, il piano delle energie cosmiche e adhyatmika, la dimensione spirituale che inerisce all’atman, il sé individuale, e a Paramatman, il Sé cosmico origine di tutto, Dio. La scopo della vita è sviluppare armonicamente questi tre piani: pensarli o viverli come dicotomici o separati l’uno dagli altri genera conflittualità e sofferenze e non permette di conseguire la piena realizzazione personale. Come deve impostare le proprie relazioni il ricercatore spiritualista? Uno spiritualista può intrattenere ogni tipo di relazione purché sappia come gestirla e come viverla rimanendo coerente ai propri principi etici e spirituali, non diventando mai complice di comportamenti impropri o scorretti. Come insegna la Bhagavadgita, lo spiritualista non deve rinunciare all’azione ma trasformare ogni azione in qualcosa di sacro, di altamente benefico per sé e per gli altri, vivendo e trasmettendo quei nobili valori in cui crede e che ha fatto propri. Che rapporto esiste tra i Veda e il Buddhismo? Nel Buddhismo troviamo numerosi concetti, come quelli di manas e di prakriti, che sono stati attinti dalla tradizione vedica e che sono stati poi sviluppati dal Buddhismo in modo peculiare. Il sistema filosofico Samkhya presenta ad esempio similitudini molto strette con la tradizione buddhista. Nel 2500 a.C. Sakhyamuni (Buddha) iniziò la sua predicazione a Benares, nell’India nord-orientale. Egli prese le distanze dalla tradizione vedica intendendo denunciare il sistema sclerotizzato delle caste, deformazione dell’originario varna-ashrama dharma, organizzazione sociale tradizionale vedica. Il Buddha inoltre condannò il sacrificio vedico degli animali, perché in quel periodo storico veniva celebrato senza le originarie motivazioni di puro atto sacrificale ed era invece divenuto strumento di sfruttamento e di guadagno economico. Sakhyamuni negò poi i Veda stessi, poiché la classe sacerdotale che ne deteneva il controllo era corrotta e manipolava a proprio vantaggio le affermazioni in essi contenute. Come è possibile che si sviluppino nevrosi anche in ambito religioso? Non sempre chi intraprende un percorso religioso lo fa adottando il giusto atteggiamento; in questi casi la religiosità, che di per sé non è affatto causa di nevrosi ma è anzi strumento per il loro superamento, perde il proprio effetto benefico a seguito delle distorsioni con le quali viene vissuta dal soggetto. Errori gravi possono venir compiuti da cosiddetti religiosi che mantengono atteggiamenti squilibrati. Non è indossando un abito che si compie il perfezionamento interiore: quest’ultimo è effettivo quando il processo di rimodellamento del comportamento e riorientamento delle tendenze viene applicato in modo corretto, sotto la guida di un Maestro qualificato. Testi indovedici fondamentali quali il Vedanta, le Upanishad e la Bhagavadgita, spiegano come sviluppare in modo positivo le dinamiche intrapsichiche, come superare i condizionamenti, come resistere alle forze negative inconsce che dettano comportamenti non armonici con l’ordine cosmico. La pratica della disciplina spirituale, in particolar modo la meditazione sul mantra, svolta secondo gli insegnamenti e sotto la verifica attenta e competente del Guru, consente al discepolo di decontaminare l’ambiente mentale, arrivando anche a neutralizzare quei complessi che si sono strutturati a livello inconscio e che tanta influenza esercitano sul carattere e sulla vita della persona. L’individuo vive come combattuto tra diversi “centri di potere”, tra contrastanti componenti psichiche ed emotive, consce o inconsce, che lavorano l’una contro l’altra generando stati di tensione e di conflitto. La realizzazione del sé sul piano spirituale consente di risolvere anche questi squilibri, elevando la visione della persona oltre gli automatismi mentali e conducendola verso un superiore livello di armonia e di benessere. Come situarsi sulla via della guarigione? Tutti abbiamo potenzialmente la capacità di curare i nostri disturbi, ma non tutti sono in grado di trovare da soli la soluzione. Talvolta può succedere che si capisca cosa fare per guarire ma non si riesca a mettere in pratica quel che si sa essere giusto e corretto. L’essere umano è molto fragile e gli ostacoli che deve affrontare non si trovano soltanto nell’ambiente esterno ma anche e soprattutto all’interno di sé: “la personalità ombra” è un nemico pericolosissimo che costringe ad agire contro il proprio stesso bene; è quel nemico crudele che obbliga ad esempio il tabagista a fumare, anche quando questi sa già di avere un tumore ai polmoni. L’io cosciente rappresenta soltanto una piccola parte della personalità ed è ben poca cosa rispetto alle tendenze inconsce, simili a forze titaniche. Vincere questi mostri sommersi è possibile, ma occorre richiedere l’aiuto di un Maestro competente che ci aiuti a praticare con costanza, fede e coerenza una disciplina etica di vita fondata sull’amore e sull’abbandono a Dio, per riuscire a riprendere coscienza della nostra essenza spirituale e delle sue inesauribili e potenti risorse. Predisporsi con affetto e amore verso tutte le creature e il creato è parte essenziale della cura ed è l’arte della vita; un’arte che culmina nel pieno sviluppo della bhakti o pura devozione per Dio. Per approfondimenti sul tema, qui appena accennato, consigliamo gli interessati di ascoltare le registrazioni audio delle due conferenze di questo ciclo. Per informazioni rivolgersi alla Segreteria CSB: 0587-618448; e-mail: secretary@c-s-b.org.